Avanguardie artistiche del 900 – Emilio Tadini
Avanguardie artistiche del 900 e Emilio Tadini. Nel 1971 Tadini riprende a lavorare attorno al problema delle avanguardie. Le stesse erano state visitate, anzi rivisitate più volte dalla cultura critica di quegli anni, e la riscoperta delle avanguardie artistiche sovietiche datava ormai dagli anni Cinquanta e soprattutto Sessanta. Così la riscoperta del costruttivismo, quella del Suprematismo, più tardi del Raggismo sono all’Interno di una ricerca e di una cultura che, in Italia, vede Giulio Carlo Argan come punto di riferimento – Brano del testo di Arturo Carlo Quintavalle edito in catalogo della mostra a Palazzo Reale nel 2001.
Avanguardie artistiche e modernità nella pittura di Emilio Tadini

Avanguardie artistiche e Emilio Tadini, Museo dell’uomo, 1974 – dalla mostra a Palazzo Reale di Milano
Esiste un’arte della sinistra che non fa concessioni al realismo e alle sue derivazioni, esiste un’arte della sinistra che non è zdanoviana ma è struttura della modernità. Così nel dipinto Paesaggio di Malevic (1971) Tadini mostra un rettangolo nero, un triangolo giallino come se fosse di marmo variegato, una base di colonna spezzata e appiattita nel ritaglio, e poi uno straccio appeso e un manubrio; il “paesaggio” di Malevic vuol dire da una parte attenzione al quadrato nero e al triangolo, alle figure assolute, ai solidi neoplatonici, dall’altra evocazione della classicità che è un altro aspetto della ricerca dell’artista.
La serie di questi “paesaggi”, di questi omaggi al pittore russo muove dunque dalla consapevolezza della sua lingua ma anche alla esigenza di proporre un nuovo racconto che unisca insieme l’asse della memoria con quello delle invenzioni della ricerca nell’arte. Emilio Tadini insomma pensa che ricercare, studiare la pittura sia anche e soprattutto studiare le invenzioni della pittura, e quindi se da una parte con la serie Color & Co. aveva puntato sulla materia e la sua analisi linguistica, qui punta invece sulla politica del fare storia e quindi sul valore ideologico della riscoperta di alcune avanguardie artistiche del 900, non il Futurismo ma il Costruttivismo e il Suprematismo.
Il criterio con il quale Tadini associa le forme è importante, e ancora qui ritroviamo il grande schermo bianco del fondo come in Color & Co., ma si viene riducendo, nel senso che esso acquista sempre più la funzione di luogo della rappresentazione possibile, spazio incommensurabile, ma anche spazio esistente. Lo provano i piani in prospettiva della serie maleviciana e alcuni dipinti che si collegano alla storia, e alla immagine stessa della storia in un paese, l’Italia, oppure alla storia e alla memoria del singolo. Da una pare insomma l’identità di una nazione, una nazione della cultura, dall’altra l’identità degli spazi familiari. Ecco dunque che, per il primo tipo di costruzione, dobbiamo considerare un quadro, Viaggio in Italia (1971), per il secondo Archeologia (1972) oppure Magasins Réunis (1973).
“Può darsi – scrive Emilio Tadini nel 1995 – che la virtù della pittura contemporanea si mostri proprio nella dura fatica che essa ha dovuto e deve compiere non per avvicinarsi alla ovvietà fulminante del reale ma per staccarsene, per allontanarsene. Un po’ come un figlio deve staccarsi e allontanarsi dalla famiglia, dai genitori. In quell’allontanamento potrebbero darsi uno spazio e una distanza messi a disposizione dell’interpretazione, messi a disposizione della produzione di senso”.
Dunque la pittura contemporanea deve staccarsi dal reale e le avanguardie artistiche, quella costruttivista sopra tutte, hanno condotto a fondo questa operazione. Per capire analizziamo Viaggio in Italia (1971) che mostra un arco di trionfo formato da tre parallelepipedi, una valigia e un telefono in primo piano, a destra una poltrona e al centro una figura senza testa, una donna che avanza in direzione della struttura trilitica, il tutto rivestito come da una texture da mascheramento bellico. La relazione tra questi elementi staccati, la poltrona, il sistema architettonico verso cui la donna senza testa si rivolge, tutto fa capire che il Viaggio in Italia che dà il titolo all’opera mostra l’assurdo della ricerca di monumenti che sono illeggibili perché mascherati, obliterati, nascosti, secondo una lettura freudiana del reale. Il viaggiatore abbandona la poltrona e dunque la casa e il ricordo e si pone davanti a un mondo che è inconoscibile, nascosto tutto dal mascheramento come lo è la poltrona da cui la figura muove e come lo sono la valigia e il telefono, strumenti del viaggio; insomma si viaggia dentro di noi ma non si conosce quello che si vede, e lo spazio del viaggio è il piano chiaro e indefinito del fondo.
Anche in Archeologia (1972) abbiamo in primo piano una poltrona, questa volta disegnata nei termini della cultura post Bauhaus, e sopra e attorno ad essa lettere sospese e scomposte, un cubo, una maschera e un crayon, un pastello giallo; come a dire che “archeologia” è soltanto memoria, scavo dunque nell’inconscio dove lettere e figure, geometrie delle avanguardie artistiche e ricordi si confondono. Anche nella serie importante dei Magasins fféun/s troviamo molti dipinti che si confrontano con questa idea del viaggio e del percorso al proprio interno, e in questa direzione un dipinto tra i molti sembra interessante perché propone tre manichini che stanno tra la cultura dechirichiana, Man Ray, Schlemmer e il Bauhaus e che si collocano sotto una scritta in alto, appunto “Magasins Réunis”, posta a semicerchio su due righe. Dunque le figure del ricordo sono delle maschere, dei manichini, sono dei personaggi, due senza testa, uno con in mano un elmo, sono i manichini della guerra, si ricordi che siamo al tempo della “strategia della tensione”, ma sono insieme anche le figure di una civile Europa che viene come cancellata dai conflitti, dagli attentati, dalla tensione di questi anni difficili.
Automatismo e arte contemporanea in Emilio Tadini

Avanguardie artistiche del 900 – Emilio Tadini, Paesaggio di Malevic, 1971
Parlando di automatismo nella scrittura pittorica contemporanea – con riferimento alle avanguardie artistiche – Tadini scrive: “si fa sentire, in questo automatismo, una profonda fiducia in qualche oscuro sapere “naturale”. Si fa sentire l’utopia di una morfologia del testo che profondamente corrisponda alla morfologia naturale – nel senso che alla parola “corrispondere” avevano dato i simbolisti e, prima di loro, Baudelaire. Si fa sentire, in questo automatismo, la forza del tutto paradossale della ‘coscienza dell’inconscio’”. Dunque la scrittura automatica è tale se fa emergere alla coscienza l’inconscio e comporre le nuove opere per Tadini vorrà dire organizzare questa consapevolezza; quindi per lui, e per noi, l’interpretazione dei dipinti, sempre più ricchi e complessi, deve passare di necessità dalla costruzione delle figure e dei segni e dei loro rapporti. Scoprire il senso di queste opere vuol dire capire il rapporto di Tadini con il reale che è anche quello con la storia della pittura.
Il commento di Tadini a un autoritratto con tavolozza di Marc Chagall nel volume del 1995 fa capire la complessità dei riferimenti possibili che il pittore propone e l’importanza del “caso” nella invenzione della pittura, specialmente parlando delle avanguardie artistiche. Scrive Tadini: “Il caso come ‘destino’ di certe figure che ‘vengono’ all’autore nel corso del farsi di un testo. È un’immagine che appare ed agisce in gran parte della pittura contemporanea. Una immagine che per sua natura sembra tendere a caricarsi di un valore simbolico sempre più ampio, più generale. Fuori del testo: nel mondo. Il caso come destino…”, Certo, Tadini riflette sul dipinto di Chagall, ma riflette anche e indirettamente sul proprio modo di fare pittura che programma appunto il caso, e dunque la costruzione delle opere. Insomma cercare di analizzare la macchina della pittura di Tadini deve partire dal suo modo di leggere, di analizzare, la macchina della pittura di alcuni altri artisti. Non solo gli espressionisti, non solo la pittura del Bauhaus, non solo la Nuova Oggettività, ma anche la ricerca complessa di Marc Chagall.
Proviamo adesso a considerare alcune opere della metà circa degli anni Settanta dove le figure appaiono farsi più complesse e il sistema delle evocazioni, delle allusioni, dei simboli più articolato. La serie di quadri di Emilio Tadini che ci interessa è Museo dell’uomo, titolo che ricalca il “Musée de l’homme” parigino dove si rappresentano le civiltà diverse dalla occidentale rilette tutte come culture primitive; Tadini, rifiutando il razzismo implicito in questa impostazione, anzi ironizzando su di esso, propone dunque un diverso racconto. Museo dell’uomo: la passeggiata del poeta (1974), Museo dell’uomo: festa e forma del cibo (1974), Museo dell’uomo: il bue sul tetto (1974); ecco tre dipinti da prendere in considerazione perché qui, nello spazio come dilatato della loro costruzione, nella disorganica frammentazione dei singoli oggetti, scopri il nuovo principio attorno a cui il pittore lavora.
Prima di tutto una estrema fedeltà al dettaglio per cui ogni oggetto viene scritto, anzi descritto utilizzando alcuni elementi certi di identificazione, e dunque si utilizza una grafia di contorno precisa, si usano forme e chiaroscuri altrettanto esatti per l’interno ma nell’insieme la forma, la figura, l’oggetto appaiono come sospesi nello spazio, in uno spazio che è quello del sogno oppure del ricordo, o ancora delle libere associazioni, non dunque uno spazio costruito, logico, reale, uno spazio di rappresentazione, ma, semmai, soltanto di rappresentazione dei singoli frammenti. Questi, quindi, proprio perché sospesi, si associano o possono essere associati anche se distanti, e ogni singola opera, grazie a questa frammentazione, può essere letta in modo diverso. Come quando si costruisce un racconto dove i percorsi narrativi e quindi i finali possibili sono numerosi; Tadini evoca da una parte la “école du regard” e dall’altra le trame di certi romanzi di appendice oppure dei gialli. Il quadro come aggregazione di elementi staccati il cui ordine non è prefigurato dall’artista ma è disponibile alla riorganizzazione da parte del lettore.
Emilio Tadini e Chagall
Ma torniamo ai dipinti che si collegano, insieme a molti altri, nella serie Museo dell’uomo che vuol dire, e a questo punto è chiaro, archeologia della memoria, racconto possibile dentro un sistema di altre possibili narrazioni. Il tutto denso di simboli. Non a caso, per esempio, proprio sulle avanguardie artistiche e , in particolare, Chagall, Tadini scriveva: “in questo dipinto una mucca sta sul tetto. In yiddish l’espressione ‘una vacca ha volato sopra i tetti’ è usata per definire lo stato di qualcuno che si immagina cose impossibili, irreali“. Dunque Emilio Tadini nel quadro II bue sul tetto allude a una cosa assurda, e dunque a un evento impossibile; ma se leggiamo meglio dentro l’opera scopriamo sì che il bue sta sopra i tetti delle case, in parte capovolti in parte diritti, ma vediamo anche altre scritte, come “Gare de Lyon”, “Milano”, “object trou…” che sta per oggetto trovato, e poi a destra “diluvio” e il numero “36” e una scritta rovesciata al centro, “avanguardia”.
Dunque le chiavi del racconto sono evidenti: la scomposizione è programmaticamente assurda come la mucca di Chagall, il viaggio è da Milano a Parigi con quattro personaggi di cui due con la testa rovesciata, che non vuol dire senza testa ma con lo sguardo rivolto all’incontrario e dunque al passato oppure all’interiorità. Domina la scena in alto un insieme di case come nel Picasso di Horta de Ebro, il tutto distinto, staccato dai grandi campi bianchi del fondo. Dipingere è comporre con oggetti trovati la propria memoria narrando di un viaggio da Milano a Parigi, un viaggio assurdo alla ricerca delle radici delle avanguardie artistiche? Ecco una possibile spiegazione ma, stante la costruzione dell’opera, ve ne potrebbero essere molte altre. Così per Festa e forma del cibo (1974) dove poltrone e giacche, tavole con compostiera e forbici, fiaschi di vino e amplificatori di vecchie radio, scritte come “Bar” e maschere, forchette e asce, stanno sospese per aria o si posano su un inesistente piano bianco.
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Leggi anche la prima parte del testo di Arturo Carlo Quintavalle scritto per l’esposizione antologica di Tadini a Palazzo Reale di Milano: http://francescotadini.it/emilio-tadini-a-palazzo-reale-nel-2001/
L’Archivio delle opere pittoriche e letterarie di Tadini è a Milano, in via Niccolò Jommelli 24 presso Spazio Tadini: sede di mostre d’arte e di fotografia, eventi, presentazioni letterarie e spettacoli. La Casa Museo – che è a disposizione per le autentiche e l’archiviazione ufficiale delle opere del Maestro è diretto da:
Francesco Tadini, Melina Scalise e l’archivio delle opere alla Casa Museo Spazio Tadini
Per informazioni: scriverci o contattarci al telefono: mail francescotadini61@gmail.com, ms@spaziotadini.it e telefono mobile +39.3662632523 – Il sito web ufficiale di Spazio Tadini è: https://spaziotadini.com/