Casa di bambola di Virgilio Vercelloni
Casa di bambola di Virgilio Vercelloni. Premessa di Francesco Tadini: con l’architetto Virgilio Vercelloni ho collaborato per un periodo di tempo sufficiente ad affezionarmi e ad amarlo come si ama un maestro di vita. Lui era – con la generosità e l’immenso eclettismo culturale visibile anche nel testo casa di bambola – parte fondamentale della redazione per la trasmissione televisiva di RAITRE Non Solo Film di cui ero autore e regista (per 48 puntate) – condotta in studio da Giancarlo Santalmassi.
I consigli di Vercelloni e la sua saggezza (leggasi anche: voracità di lettore e memoria pressoché infinita) hanno animato e dato sapore e senso a tre anni della mia vita. Virgilio ci ha lasciato nel maggio del 1995, ma vi assicuro che penso a lui – e lo rileggo – quasi con la stessa emozione di un figlio verso il padre. Il testo sulla casa di bambola – che segue – è tratto da un libro che mi auguro venga ristampato: Comunicare con l’architettura, edito nel 1993 da Franco Angeli. Qui in immagine riporto l’affettuosa dedica con la quale mi regalò il volume.
La casa di bambola
Il piccolo modello di casa d’abitazione è una figura antica, anzi antichissima nella storia dell’umanità. La sua origine è probabilmente legata a motivi sacrali e di devozione verso i morti, ma si trattava anche di strumento di gioco infantile.
Diversa è la casa di bambola che si afferma per rappresentare la tipologia della casa borghese nella quale una bambina entra virtualmente per ordire un complesso gioco psicologico che le permette di possedere, conoscendola compiutamente, tutta la casa, anzi il concetto stesso di casa.
Diffusa in Europa sempre più ampiamente nell’età moderna, diviene strumento fondamentale per la nuova società della borghesia al potere, dall’Olanda secentesca (quando si fonda anche l’ideologia della casa borghese) all’Inghilterra vittoriana.
In queste società, infatti, la bambina doveva essere educata a divenire donna e in quello stato dirigere l’economia della casa.
Oggetto ludico e didattico il modello dell’abitazione appare, anzitutto, come una straordinaria forma di comunicazione specificamente indirizzata alla comprensione infantile (ma non solo a quella).
La divulgazione dei progetti e dei modelli di architettura
I diversi modelli di architettura presentavano tradizionalmente le forme esterne di un edificio: erano per questo facilmente comprensibili, più di molti disegni, per il fatto di presentare un insieme architettonico. Il modello architettonico, infatti, serviva prevalentemente a presentare il progetto in miniatura dell’edificio come sarebbe stato dopo l’edificazione reale per farlo comprendere meglio al committente.
I disegni dei progetti architettonici (piante, sezioni, facciate, particolari, ma anche assonometrie) erano comprensibili solo agli addetti ai lavori, ai progettisti e a qualche committente affinato nell’arte dell’architettura (ma spesso l’architetto suppliva a questa difficoltà di lettura presentando al committente prospettive realistiche, in particolare se comprensive di segni paesaggistici e urbani esistenti: Karl Friedrich Schinkel (1781-1841), il grande architetto dell’età romantica che era anche uno straordinario pittore, integrava questi strumenti di comunicazione con la raffigurazione pittorica dei suoi progetti nei luoghi prescelti, come fossero riprese dal vero a costruzione ultimata.
Ma la comprensione di una casa, della sua articolazione interna, del succedersi dei diversi spazi funzionali e l’insieme delle diversificate interdipendenze delle parti è difficilmente governabile per chi non sia architetto. Un bambino, alla richiesta di raffigurare la propria casa, ne delinea sempre il fronte esterno. Ma chi tecnico non sia e chi non abbia dimestichezza con i documenti planimetrici di proprietà e con quelli catastali difficilmente potrà raffigurare la propria abitazione in modo comprensibile dal momento che la conoscenza della propria casa è un fatto prevalentemente psicologico e soggettivo.
La comunicazione totalizzante della casa di bambola
La casa di bambola ha invece una capacità di comunicazione totalizzante: chiunque, bambino o adulto, ne coglie l’insieme ma anche ogni singola parte oltre che le molteplici interdipendenze fra le parti stesse. Che vi sia o no un fronte architettonico da aprire come fosse un’anta per osservare l’interno, quello che è evidente nella visione globale dei diversi ambienti che costituiscono l’abitazione è la comprensione della struttura di una casa e delle relazioni fra le parti. Non si tratta di una visione realistica (perché una simile immagine dal vero è possibile solo dopo il crollo della facciata che scopre l’interno dei vari piani e dei vari ambienti, così come tragicamente avvenne in Europa dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale), ma straordinariamente efficace nella sua complessa comunicazione.
La miniaturizzazione è una componente essenziale delle attività ludiche della bambina con la sua piccola casa, ma le garantisce anche, percettivamente, la possibilità di governare il tutto con sicurezza e padronanza, proprio per il rapporto speculare, rovesciato rispetto alla realtà: ogni bambina si trova nel rapporto con la casa e con gli oggetti come Gulliver con gli abitanti di Lilliput, mentre con gli stessi oggetti reali della casa nella quale vive la bambina stabilisce un rapporto opposto nel quale giganti sono gli oggetti (sino a quando e progressivamente, divenuta donna, si consoliderà il rapporto reale).
La casa di bambola non è un modello scientifico che riproduce in esatta scala il reale, perché del reale vuole rappresentare la tipologia della coeva casa borghese reale: così alcuni spazi, alcuni arredi e manufatti possono essere ingranditi a piacere se la loro surreale proporzione permette di comunicare meglio, gridando, un’informazione.
La casa di bambola e la cultura materiale
La casa di bambola è inoltre un’espressione della storia globale, perché in quel contenitore sono presenti le classi sociali e ne vengono espresse le diversità, il valore degli arredi e degli oggetti d’uso, ogni elemento di cultura materiale (dall’abbigliamento al modo di occuparsene, dalla gastronomia agli attrezzi necessari alla preparazione degli alimenti). In essa sono documentati gusti e comportamenti della classe dirigente della quale la casa di bambola è modello esemplare (le opere d’arte, gli strumenti musicali e quant’altro esprimono esplicitamente il valore di uno status symbol). La storia delle case di bambola, da quelle olandesi del XVII secolo in poi, è una delle documentazioni più eloquenti, per l’insieme dei segni e del significato degli oggetti, per verificare i mutamenti nella storia dell’idea della casa borghese europea.
Nella casa di bambola (come tutti i giocattoli scelti dai genitori che determinano con le loro predilezioni e il loro potere economico la fortuna di ogni manufatto ludico dedicato all’infanzia) sono geneticamente presenti progetti didattici e ideologie antifemministe.
La bambina, giocando, doveva anzitutto essere educata e imparare. Con la sua casa mimava quanto la mamma (modello reale e indiscutibile) faceva nella casa reale occupandosi delle faccende domestiche. Pulizie, cucina, cura dell’abbigliamento e delle attrezzature, erano questi i campi obbligatori di un gioco che poteva indubbiamente essere arricchito con la fantasia ma che si muoveva pur sempre nel quadro di quella cultura materiale gestita dalla donna nella casa borghese, e perciò della concezione della funzione femminile in quella particolare società.
Estremizzando si può dire che se un bambino poteva scegliere fra i propri giochi miniaturizzazioni di strumenti militari, attrezzi scientifici, materiali artistici (esprimendo nel gioco la potenzialità di un futuro aperto a diverse possibilità), la bambina doveva partire dalla casa di bambola (e dalla bambola) e, sempre, lì ritornare. Una casa di bambola è un modello di architettura pregno di significati multimediali, strumento di varie e complesse comunicazioni fortemente interdipendenti.
La casa di bambola è, ovviamente, connessa alla bambola, uno degli oggetti ludici e formativi più antichi che troviamo presente in tutta la geografia e la storia dell’umanità, con il quale ogni bambina addestrava se stessa alla sua futura condizione di mamma.
Virgilio Vercelloni
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… e dai un’occhiata alle attività di Spazio Tadini / PhotoMilano (vedi sotto) con il bando di mostra Novecento Italiano – Omaggio a Emilio Tadini
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Spazio Tadini di Francesco Tadini e Melina Scalise
Il saggio di Vercelloni Comunicare con l’Architettura è in consultazione alla Casa Museo Spazio Tadini – nella biblioteca del livello – 1 in via Jommelli 24. Per contatti: francescotadini61@gmail.com – telefono mobile +393662632523
Francesco Tadini, oltre ad organizzare e curare numerose mostre d’arte contemporanea presso i locali della ex tipografia di via Jommelli a Milano, ha fondato, nel 2017, PhotoMilano club fotografico milanese. Consulta la sua pagina: https://photomilano.org/francesco-tadini/ e scoprine le attività portate avanti a 2600 iscritti. Ha preso vita un luogo nel quale la professionalità e la passionalità relative alla fotografia si incontrano senza sosta!
Articolo molto interessante