Dadaismo e diffusione: cronologia dada – Storia dell’Arte, materiali di studio

Francesco Tadini Archivio: da Maestri del Colore n 278, 6
Dadaismo e diffusione: cronologia dada – Storia dell’Arte, materiali di studio. Dentro questo caos per certi aspetti reale, ma in buona parte apparente, dentro il coacervo di energie contrastanti che agitavano dada, è possibile, se ci si pone nella giusta prospettiva storica, ricostruire una trama profonda che fa da legante. Già Jean Arp aveva scritto: “Dada volle distruggere gli inganni della ragione e scoprire un ordine irragionevole”. Un ordine irragionevole è quasi una definizione della sostanza morale di dada e l’espressione di quella « coincidenza degli opposti che, come movimento dell’arte contro l’arte, come fenomeno spirituale, divenne, per la prima volta nel dada, una realtà storico-artistica » ; al di sotto di tutta la libertà e di tutta l’anarchia, scorre un ordine, vien voglia di dire una parola d’ordine, spirituale, intellettuale e morale, che fa riconoscere tra di loro a distanza, da New York a Zurigo a Berlino, questi giovani rivoltosi.
Dal testo di Roberto Tassi che introduce “Dal Surrealismo alle correnti più recenti” – volume XXVIII della Storia della pittura della storica collana “I Maestri del Colore” dei F.lli Fabbri.
La cronologia di dada è varia e imprecisa come lo sono le sue manifestazioni; ma alcuni punti sicuri si possono fissare. Il viaggio negli Stati Uniti di Picabia in occasione della grande mostra dell’Armory Show nel 1913, e il suo incontro con Duchamp, il cui Nudo che scende le scale era una delle opere più discusse della mostra, con Stieglitz, che aveva fondato la galleria d’avanguardia ‘231’, e con Man Ray, sono all’origine del dadaismo americano. Già nel 1915 Duchamp costruiva il Grande vetro intitolato La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche, che si mostrò subito un’opera del tutto diversa da qualsiasi tipo di convenzione artistica, anche delle recentissime avanguardie europee presenti all’Armory Show; e intanto inventava i ready-made, ecco in che modo: “Già nel 1913 ebbi la felice idea di montare una ruota di bicicletta su uno sgabello di cucina e di osservarla mentre girava. Un paio di mesi più tardi comprai una riproduzione a buon mercato di un paesaggio invernale, che io intitolai Fharmacy (farmacia) dopo averci dipinto sull’orizzonte due piccoli punti, uno rosso e uno giallo. A New York, nel 1915, comprai in un negozio di ferramenta una pala per spalare la neve sulla quale scrissi In advance of a broken arm (in previsione di un braccio rotto). Circa in quell’epoca mi venne in mente la parola ready-made per definire questo genere di lavori. C’è un particolare che vorrei sottolineare specialmente, e cioè che questa scelta di ready-made non era mai dettata da un senso di godimento estetico. La scelta era fatta in base a una reazione ottica di assoluta indifferenza, che prescindeva completamente dal buono o dal cattivo gusto… insomma in uno stato di completa anestesia (assenza di coscienza)”.
In Europa il centro iniziale della rivolta è Zurigo, dove agli inizi del 1916 il poeta tedesco Hugo Ball inaugura al Cabaret Voltaire una serie di manifestazioni che comprendono musica, canto, recitazione di poesie, mostre di pittura e altri oggetti, redazione di fogli letterari e informativi; in questo ambiente i protagonisti sono Tristan Tzara, Jean Arp, Richard Huelsenbeck, Marcel Janco, Hans Richter; qui è trovata la parola dada (nel modo e secondo i significati più vari, a seconda delle varie testimonianze).
Dalla Svizzera il dadaismo passò, dopo qualche tempo dal suo inizio, in Germania e vi si sviluppò in tre centri diversi: Berlino, Colonia e Hannover. Era il 1918, le condizioni del paese erano drammatiche tra una spaventosa guerra appena finita e l’inizio di una rivoluzione: così il dada a Berlino assunse subito contenuti politici; si considerava solo formalista la rivoluzione anti-borghese attuata dai dadaisti in Svizzera e quindi si tentò una rivoluzione totale che unisse l’elemento sociale a quello artistico. Vi parteciparono artisti come Raoul Hausmann, John Heartfield, e Hannah Hóch con collages e fotomontaggi, mentre Grosz e Dix sfruttarono tecnica- mente il nuovo stile per le loro esigenze realiste. Ad Hannover il dada fu impersonato da Kurt Schwitters, un artista sensibile, attivissimo e straordinariamente originale; lontano da ogni programmatica ribellione contro la società o contro l’arte, egli attuava la rivolta all’interno del suo lavoro, nel quale era impegnato con una totale dedizione; così la sua opera risultò rivoluzionaria in sé e dadaista almeno per lo spirito formale. Schwitters fu un grande poeta del collage; vai la pena di leggere il ritratto che di lui ha scritto Richter: “Sia l’arte che la vita di Schwitters, furono un’epopea vivente: continuamente accadeva qualcosa di drammatico. La guerra di Troia non può essere stata più svariata di quanto lo fosse un solo giorno della vita di Schwitters. Quando non scriveva poesie, faceva i collages, se non faceva i collages costruiva una colonna o si lavava i piedi nella stessa acqua dove stavano i suoi porcellini d’india, riscaldava a letto la pentola della colla, dava da mangiare alla tartaruga nella vasca da bagno, raramente usata, declamava, disegnava, stampava, ritagliava le riviste, riceveva gli amici, pubblicava Merz, scriveva lettere, amava, progettava stampati e réclame per Gùnther Wagner (dietro compenso stabilito), insegnava a disegnare in maniera accademica, dipingeva ritratti di una bruttezza orripilante come a lui piaceva, ma poi li stracciava per adoperarne i brandelli per i suoi collages astratti, con mobili fatti a pezzi componeva quadri per Merz, gridava a Helmchen, sua moglie, di stare attenta a Leh- mann, suo figlio, invitava gli amici a pranzi molto frugali e, fra tutte queste cose, non dimenticava mai ovunque fosse o andasse, di raccattare oggetti gettati via, che poi si accumulavano nelle sue tasche… e tutto con un istinto e uno spirito così sveglio e solerte e con una passione che non veniva mai meno”.
A Colonia il dada ha il nome di Max Ernst; ma con lui trapassiamo nel surrealismo. Anche in Francia lo spirito di dada servì soprattutto a preparare la generazione surrealista. Ma dada non muore in un momento preciso; come la sua vita anche la sua fine fu straordinaria; soprattutto non fu una fine, alcuni artisti morirono, altri cambiarono vita, altri ideologia, altri continuarono il cammino del meraviglioso. E quando tutto, con la seconda guerra mondiale, sembrava veramente spento, ecco il revival degli anni sessanta che segue all’informale e porta a un oggettivismo ancor oggi attivo.