Emilio Tadini, Pop art e mostra antologica a Milano

Emilio Tadini

Emilio Tadini, Ulisse & Co, 1973, 162×130 cm

Emilio Tadini e la Pop art – Materiali di studio per la mostra antologica a cura di Francesco Tadini  e Melina Scalise che inaugura il 23 febbraio 2018 alla Casa Museo Spazio Tadini a Milano. Il testo è di Marco Livingstone: “Traduzioni dagli inglesi: l’avventura di Tadini nel Pop” ed è stato pubblicato nel catalogo della grande esposizione di Palazzo Reale del 2001 –  La Pop Art, specialmente le sue manifestazioni americane, era caratterizzata soprattutto dall’immediatezza dell’impatto, dall’accessibilità e dalla familiarità dei suoi motivi tratti dai mass media e dalla cultura popolare, e, spesso, dall’aspetto stampato o “fatto a macchina”. Il Pop è stato quindi un punto di riferimento abbastanza insolito per Emilio Tadini, che, fino al 1966, cioè all’apoteosi del Pop, si era distinto per la complessità dei suoi dipinti, caratterizzati da un tocco individuale, da allusioni esoteriche e motivi narrativi dallo svolgimento graduale. Quel che lascia ancor più perplessi è che un pittore italiano a tal punto imbevuto di tradizione europea abbia scelto di adottare alcuni aspetti del linguaggio pittorico Pop, in particolare la grafica piatta e le sagomature nette, solo nel 1967, quando cioè il movimento stava già tramontando e la pittura stessa era minacciata dai nuovi sviluppi dell’arte concettuale e dell’Arte Povera.
Per poter capire i motivi che hanno spinto Tadini a sviluppare, per un periodo relativamente breve (fino al 1974), una sua personale forma di Pop Art, bisogna innanzitutto accettare la determinazione con cui gestisce autonomamente il suo percorso artistico, la sua volontà di resistere alle mode, mantenendo vivo l’impegno verso la pittura e la letteratura di fronte a qualsiasi pressione esterna. In secondo luogo, bisogna individuare meglio quali aspetti del Pop Tadini ha scelto e adattato ai suoi personali intenti: non le manifestazioni più aggressive tipiche del Pop americano, con la sua celebrazione dei fumetti, del fast food e del fascino hollywoodiano lo attraevano, ma piuttosto le varianti, in genere più introspettive e personali, a volte intellettuali, politiche e critiche, del Pop britannico.

A costo di semplificare eccessivamente, si può dire che gli artisti americani, come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, prediligevano generalmente l’impatto dell’immagine percepita istantaneamente, in un unico sguar­do, una singola immagine “trovata”, che veniva collocata centralmente oppure occupava l’in­tera superficie della tela, o ancora una griglia di motivi reiterati. I britannici, dal canto loro, preferivano un approccio più discorsivo, basato sulla frammentazione della composizione in diversi punti significativi, che richiedono una percezione sequenziale, distribuita lungo un certo arco di tempo. Già queste differenze di tempo, la velocità degli americani contrapposta al ritmo più riflessivo degli artisti britannici, ponevano lo spettatore di fronte a una scelta radicale, ed era forse naturale che l’Europa si sentisse più attratta, per affinità di temperamento, dalla reticenza britannica che dalla schiettezza americana.
Nell’opera dei pittori e dei grafici inglesi di quel periodo, tra cui Ronald B. Kitaj, Peter Bla- ke, Richard Hamilton, Eduardo Paolozzi, David Hockney e Derek Boshier, si osserva una ten­denza diffusa alla narratività, la fascinazione collagistica per i collegamenti tra motivi apparentemente disparati, la volontà di abbracciare la complessità dell’esperienza che talvolta predomina sulla semplicità formale comunemente associata alla Pop Art.1 Nel caso di Kitaj, pittore di origine americana, e dello scultore e grafico scozzese Paolozzi, queste tendenze erano profondamente radicate nel surrealismo, proprio come per Emilio Tadini, che infatti guardava con particolare simpatia alle opere dei due artisti. È soprattutto con le opere di Kitaj, che in quel periodo operava a Londra, che l’opera di Tadini presenta le più significative analogie, non solo al livello superficiale dello stile, ma anche per le fonti storico-artistiche e i referen­ti culturali, i temi politici, l’enfasi sulla frammentazione, la complessità spaziale, il rapporto con le convenzioni cinematografiche, le allusioni e i modelli letterari (Eliot e Pound innanzitutto), e, infine, l’esplorazione della narratività.Lo stesso Kitaj, sebbene venga incluso tra gli artisti Pop, molti dei quali conobbe personalmente, contribuendo a dar forma alla loro opera, si distanziò recisamente dal movimento, specie dalle sue tendenze populiste. Kitaj adoperava alcuni tratti del linguaggio visuale della Pop Art, come il cromatismo squillante e piatto, la precisione delle forme e soprattutto la schiettezza grafica, per sedurre l’osservatore e mantenerne viva l’attenzione. Ma la cultura di massa, se si esclude il cinema e il suo amato baseball, lo lasciava indifferente: Kitaj non aveva alcun desiderio di vedere la sua arte trasformata in un genere di consumo da fast food.

Emilio Tadini

Emilio Tadini catalogo mostra Palazzo Reale, Ventilatore 1972, cm 146×114

Quasi a impedire che la sua opera venisse fagocitata dai mass media o digerita troppo facil­mente o inconsapevolmente dal grande pubblico, Kitaj si risolse a trattare soggetti che richiedevano qualcosa di più di un piccolo sforzo a un occhio già educato, introducendo nel­le sue opere motivi tratti da un’incredibile varietà di fonti, come riviste accademiche, la sto­ria della sinistra politica, istantanee da vecchi film. Kitaj concepiva le sue opere come lun­ghi percorsi d’esplorazione e di decodificazione destinati a un pubblico paziente e attento. Per tutti questi aspetti, Kitaj, più d’ogni altro artista britannico dichiaratamente Pop, costi­tuisce un punto di riferimento significativo per l’arte di Emilio Tadini, così come si è sviluppata a partire dalla fine degli anni Sessanta.
Le prime due grandi serie di opere per cui Tadini concepì un linguaggio grafico Pop, la Vita di Voltaire del 1967 e L’uomo dell’organizzazione dell’anno successivo, presentano la figura umana al centro della scena, con il nudo profilo che si staglia nettamente sulle campiture di colore piatto. La tecnica esecutiva, mutuata dalla sfera così inequivocabilmente democratica della poster art, della pubblicità e del design grafico, è già in se stessa portatrice di signifi­cato, è una dichiarazione contro l’esclusività della tradizione delle belle arti. La devozione di Tadini per il corpo in quanto veicolo icastico dell’esperienza umana è per lui un altro motivo molto forte di attaccamento ai pittori londinesi legati al Pop, giacché questo era un argo­mento centrale anche nelle opere di Kitaj, Blake, Hockney e Alien Jones. Il livello di distac­co e di stilizzazione raggiunto dalle loro opere in quel periodo, in particolare dalla “stenogra­fia” grafica usata da Jones nel suo trattamento oggettualizzato di corpi femminili senza testa, stimolò Tadini a realizzare raffigurazioni obiettive e distaccate di categorie umane ste­reotipate piuttosto che di specifici individui. La ricerca che, in quegli stessi anni, conduce­vano parallelamente artisti americani quali Tom Wesselmann, John Wesley e il tedesco-ame­ricano Richard Lindner, non sembrano interessarlo in ugual misura. Eppure, a dispetto del­l’influenza che la Pop Art britannica ha esercitato su Tadini, e che l’artista stesso peraltro riconosce apertamente, sarebbe insidioso affermare che il suo stile sia derivato da uno di questi artisti: nelle opere di Tadini la concezione della figura, per quanto risolutamente ano­nima possa sembrare, rimane interamente, immediatamente e paradossalmente riconoscibile come sua.
L’opera di Francis Bacon, pittore inglese più anziano e molto ammirato dagli artisti Pop bri­tannici, è stata un altro naturale punto di riferimento per Tadini, se consideriamo le straordi­narie conquiste di Bacon nel reinventare la forma umana. Il debito di Tadini verso Bacon è riconoscibile non tanto nella figura in sé, che rigetta l’indeterminatezza della materia pittori­ca tipica dell’artista inglese, ma nel rapporto, sorprendente e psicologicamente pregnante, che si stabilisce tra la figura isolata ed esistenzialmente alienata e lo scenario architettonico o puramente formale in cui è collocata. Bacon si scagliava contro l’astrazione nel momento stesso in cui impiegava le tecniche della pittura astratta, con risultati davvero potenti: allo stesso modo, Tadini è incline a tecniche semplici ma estremamente efficaci, tese a dare risalto alla presenza delle sue figure per mezzo del collegamento con edifici, oggetti e bloc­chi o campi di colore intenso.
Sul piano stilistico, con la sua tecnica del colore piatto racchiuso in una sagoma lineare, l’arte di Emilio Tadini degli ultimi anni Sessanta e dei primi anni Settanta ricorda, ancor più che i precedenti, un altro artista Pop britannico, Patrick Caulfield, che era solito trattare soggetti dalla forte carica emotiva, in alcuni casi addirittura banali, romantici e appassionati, come scorci mediterranei e nature morte floreali od oggetti esotici, nascondendosi, allo stesso tempo, dietro un’apparenza paradossalmente fredda di umorismo, ironia e blando distacco. Più vicini a casa di Tadini e alle sue opere, non solo per la posizione geografica ma anche per l’analoga visione del mondo, sono i pittori legati alla “Figuration Narrative”, un movimento francese che presenta significative analogie con la Pop Art britannica. Un cenno particolare meritano, in questo contesto, il suo vecchio amico Valerio Adami, lo spagnolo Eduardo Arro- yo e soprattutto l’haitiano Hervé Télémaque, che Tadini ricorda con ammirazione “soprattut­to per quella sua straordinaria capacità di portare l’assurdo a una specie di assoluta chiarez­za, di ordine paradossale’’.2 Tuttavia, anche nei casi in cui le opere si assomigliano di più, bisogna evitare i collegamenti diretti tra un artista e l’altro, dato che, all’epoca, esisteva una sorta di lingua franca della sensibilità, della tecnica e dei procedimenti della Pop Art: tale linguaggio comune costituiva un tratto d’unione tra artisti che lavoravano in parti del mondo diverse, ma anche con esiti diversi.
Nel caso di Tadini, la Pop Art si è rivelata una fase di passaggio, e, d’altronde, sarebbe altret­tanto appropriato collocare aH’interno di una tradizione esclusivamente italiana opere come la serie della Vita di Voltaire, che tradisce l’ispirazione alla Pittura Metafisica di Giorgio de Chirico e ai suoi manichini-robot vaganti per misteriose e minacciose strade cittadine, in un’atmosfera esaltata da insolite prospettive e sacche di spazio vuoto, tenuta in sospeso da una tecnica volutamente rattenuta.

Fino al 1974 e persino nei primi anni Ottanta, i dipinti di Tadini ci danno un’analoga sensazione di emozione trattenuta a forza. Per alcuni anni è stato il linguaggio del Pop o, più precisamente, la sua personale traduzione di tale linguaggio, a far da complice a Tadini nella sua ricerca di un’arte in equilibrio tra la pregnanza psicologi­ca, politica e intellettuale del contenuto e un vocabolario formale e figurativo diretto e acces­sibile. Negli anni Ottanta, Tadini non resiste più alle perentorie esigenze dei soggetti che lui stesso ha scelto: pennellate visibili, complessità figurativa e un immaginario esoterico torna­no a inondare con forza la sua arte. L’amore tra Emilio Tadini e la Pop Art è finito, ma lascerà un segno che anni e anni di pittura non hanno cancellato.

Londra, febbraio 2001
(Traduzione dall’inglese di Elisabetta Zoni)
1 Nel 1966, lo Studio Marconi di Milano, la galleria con cui Tadini collaborava, ospitò una mostra di arti­sti legati alla Robert Fraser Gallery di Londra. In una lettera all’autore del 5 febbraio 2001, Tadini ricor­da quell’evento come un’occasione importante, che gli consentì non solo di ammirare una bellissima scelta di opere, ma anche di conoscere personalmente Hamilton, Blake, Hockney e Joe Tilson.
2 Lettera all’autore del 5 febbraio 2001.

Marco Livingstone

Il ‘900 di Emilio Tadini

curata da Francesco Tadini  e Melina Scalise

antologica e mostra fotografica

Dal 23 febbraio al 18 marzo 2018, con apertura al pubblico venerdì 23 febbraio dalle ore 18:30 alle 21:00 a Spazio Tadini – in via Jommelli 24 – per “Il ‘900 di Emilio Tadini” una grande mostra antologica di pittura e, contestualmente, un inedito racconto per immagini del percorso dell’artista – sia pittorico che letterario e giornalistico – con la partecipazione di grandi maestri della fotografia italiana e di 77 fotografi di PhotoMilano club fotografico milanese. All’interno della rassegna Novecento Italiano organizzata dal Comune di Milano per porre l’attenzione sui processi storici, culturali e artistici del secolo appena trascorso, non poteva mancare un approfondimento su uno degli autori milanesi più eclettici della cultura italiana del Novecento: Emilio Tadini. Si ringrazia inoltre Municipio 3 di Milano per il patrocinio e il contributo nella divulgazione della mostra.

Un percorso costellato da momenti di riflessione sulla sua visione dell’arte nel 900 e sulla sua ricerca filosofica con contributi fotografici di grandi fotografi italiani contemporanei – come Maria Mulas, Graziano Perotti, Francesco Cito e Joe Oppedisano – e da una selezione di aderenti al gruppo PhotoMilano che hanno dato corpo a un lavoro di ricerca sia sulla dimensione pittorica che su quella letteraria e giornalistica di Emilio Tadini. – sito web: https://photomilano.org/
I fotografi di PhotoMilano sono:
Diego Bardone, Francesco Falciola, Cesare Augello, Elisabetta Gatti Biggi, Luigi Alloni, Giovanni Paolini, Walter Ciceri, Gian Paolo Grignani, Alberto Scibona, Gianfranco Bellini, Laura Caligiuri, Francesca Giraudi, Giovanni Gianfranco Candida, Domenico Sestito, Fabio Zavattieri, Andrea Rossato, Francesco Summo, Adele Caracausi, Daniela Loconte, Alberto Grifantini, Michele Salvezza, Alessandra Antonini, Francesca Gernetti, Franco De Luca, Tiziana Granata, Rodolfo Cammarata, Giuseppe Di Terlizzi, Elvira Pavesi, Rosario Mignemi, Corrado Formenti, Armando Melocchi, Anna Limosani, Giovanna Paolillo, Maria Luisa Paolillo, Angelica Mereu, Cinzia Beatrice Stecca, Roberto Ramirez, Federica Tamagnini, Cristina Risciglione, Renato Corpaci, Matteo Garzonio, Romina Pilotti, Silvia Questore, Roberto Longoni, Fabio Natta, Antonella Fiocchi, Stefano Barattini, Luca Barovier, Michele De Fusco, Fabio Bonfanti, Maria Grazia Scarpetta, Marvi Hetzer, Walter Turcato, Claudio Stefanoni, Magda Chiarelli, Mimma Livini, Cristiano Vassalli, Roberto Crepaldi, Marisa di Brindisi, Marco Simontacchi, Claudio Manenti, Nerella Buggio, Giuliano Leone, Paola Fortunato, Lorena Tortora, Roberto Manfredi, Maria Cristina Pasotti, Bruno Panieri, Marina Labagnara, Antonia Rana, Alberto Chignoli, Andrea Fraccaro, Emanuele Cortellezzi, Daniele Rossi, Maurizio Buttazzo.
A tale gruppo si aggiunge, con alcuni suoi disegni, l’artista Eleonora Prado.

Emilio Tadini

Emilio Tadini mostra Milano 2018

Francesco Tadini

Francesco Tadini è fondatore e direttore artistico di Spazio Tadini in via Jommelli 24 a Milano. Casa Museo e archivio delle opere di Emilio Tadini, sede di mostre ed eventi. Location.

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