Giorgio de Chirico e la pittura metafisica, visto da Roberto Tassi – Storia dell’Arte

Francesco Tadini Archivio: Maestri del Colore n 278, 3
Giorgio de Chirico e la pittura metafisica, visto da Roberto Tassi – Storia dell’Arte. Nel 1910 Giorgio de Chirico dipinge un quadro intitolato L’enigma dell’oracolo, vi sono già contenuti, in parte palesi in parte potenziali, gli elementi di fondo della pittura metafisica: anzitutto la commistione tra il ‘mistero greco’ e il turbamento romantico; poi l’atmosfera genericamente ‘inquietante’, cioè il senso di veder rappresentate le cose nel loro momento e nel loro lato più oscuramente misterioso, il tempo sospeso come in attesa di un evento, e, dal punto di vista formale, il contrasto, che contribuiva alla creazione di quell’atmosfera, tra la presentazione irrazionale delle cose e lo stile quasi banalmente rappresentativo, per niente preoccupato (fatto quasi inconcepibile nella pittura italiana) della perfezione o della bellezza formale. Un quadro insomma ricco di contenuto, di pensiero, di idee, di suggestione e trasandato nella forma, in cui anzi era sfruttata l’opacità della materia solo in vista di una sua funzione, diciamo pure ormai, metafisica.
Dal breve saggio di Roberto Tassi introduttivo al “Dal Surrealismo alle correnti più recenti”, nel volume XXVIII della Storia della pittura ne “I Maestri del Colore” dei F.lli Fabbri.
Erano gli anni in cui nascevano le avanguardie, in cui si guardava solo alla Francia e al suo Ottocento; mancavano tre lustri alla nascita del surrealismo. De Chirico invece guardava alla Germania, pensava alla filosofia, dava alle sue immagini una dimensione surreale. La pittura metafisica è fondata da lui, che la porta avanti da solo per almeno sei anni. Il lato greco si spiega nella sua origine (è nato a Volo nel 1888) e infanzia, ma stravolto nello stesso modo da lui scoperto in Klinger, il mito mediterraneo si oscura subito di brume nordiche. Insomma Giorgio de Chirico crea una visione figurativa che trova le sue origini nella Germania e, attraverso Klinger e Arnold Böcklin, risale al romanticismo, al suo più grande rappresentante, Caspar David Friedrich. Ma tutta la vita moderna aveva, per lui, una dimensione romantica, inquietante; scrive infatti nel saggio su Klinger: « Che cosa è questo romanticismo della vita moderna? È il soffio di nostalgia che passa sulle metropoli europee, per le vie nere di folla, sui centri rombanti di attività e i sobborghi dove si apre la geometria delle fabbriche e delle officine; sugli immobili che, come arche cubiche di pietra e di cemento, ferme in mezzo al pelago delle case e delle costruzioni, stringono ne’ loro fianchi duri i dolori e le speranze della insipida vita quotidiana. È la villa signorile nel tepore soffocante di un mattino di primavera o nella calma lunare di una notte estiva, con tutte le persiane chiuse dietro gli alberi del parco, e il cancello di ferro battuto. È la nostalgia delle stazioni ferroviarie, degli arrivi e delle partenze; la malinconia dei porti di mare coi transatlantici che, sciolti gli ormeggi, salpano di notte sulle acque nere, illuminati come città in festa… ».
De Chirico tra il 1910 e il ’20 compie appunto il tentativo di dipingere la nostalgia degli arrivi, delle partenze e degli spazi della solitudine nel cuore delle città, piazze, prospettive, portici, abitati solo dalle ombre allungate per una luce cadente, irreale e netta, o da personaggi mitici, misteriosi e banali. Ma ciò che conta in questa pittura è l’atmosfera, sempre al di là del reale, non onirica, ma razionalmente creata per dare il senso fantomatico dell’esistenza; scatta così nel quadro metafisico di De Chirico il meccanismo conoscitivo di una realtà più profonda, della vita misteriosa delle cose, per la presenza e l’accostamento di oggetti che, estratti dal contesto più banale, si caricano di una semanticità nuova, di un inedito simbolismo.
Teorica della pittura metafisica
Giorgio de Chirico partito dalle suggestioni dell’arte ‘filosofica’ tedesca, si inoltra nell’avventura del nuovo mondo dell’immagine sorretto dalle intelligenti teorie del fratello Alberto Savinio; che spiega così le ragioni della parola ‘metafisica’: « Sostiamo alla parola metafisica, per i riguardi suoi con l’arte e, qui, con la pittura. Questa parola, impiegata già dalla tradizione filosofica nei termini di un bilancio più che altro sostanzialmente fisico, ripresa poi dalla teologia, trovò, per primo, in Nietzsche, una ragione spirituale libera. Con l’acquistare questo senso nuovo e vasto in una realtà più vasta, metafisico o non accenna più a un ipotetico dopo-naturale; significa bensì, in maniera imprecisabile – perché non è mai chiusa, ed imprecisa dunque, è la nostra conoscenza – tutto ciò che della realtà continua l’essere, oltre gli aspetti grossolanamente potenti della realtà medesima ». Savinio ritiene che l’arte sia giunta alla sua fase spirituale e considera definitivamente chiuso il periodo naturalistico; la nuova arte si basa sulla rappresentazione del fantasmico (allorché l’uomo trovasi al cospetto di una realtà ignota a lui dapprima ) e sull’ironia. La pittura di De Chirico è l’unica che realizzi questi postulati teorici; il suo modo di superare il naturalismo è di restaurare il valore plastico dell’immagine; egli dà consistenza agli oggetti, profondità allo spazio; la pittura non ha più valore in sé, come pittura, ma in quanto predispone, riconosce e suscita la magia del reale. Lo spazio è quindi solo in apparenza prospettico, in realtà è uno spazio magico. Dice De Chirico: “Bisogna scoprire il demone in ogni cosa… Bisogna scoprire l’occhio in ogni cosa”. Egli elimina quindi i rapporti naturali fra le cose, e istituisce al loro posto rapporti inconsueti che danno il sentimento dell’enigma. Il fine della sua pittura non è di quietare, di arrivare all’armonia dell’assoluto, ma al contrario, di turbare; turbò infatti molti giovani spiriti, quando la videro per la prima volta, da Breton a Magritte, da Max Ernst a Masson, i futuri inventori del surrealismo.