Heidegger, Nietzsche, la parola ESSERE e la Distanza
Heidegger, Nietzsche – Da Emilio Tadini, La distanza, (Einaudi) – > leggi il post precedente – (pag. 10) Per chiarirci le idee a proposito delle diversità che dividono e dei nessi che uniscono la due parole «distanza» e «Distanza», e anche a proposito della possibilità di sperimentare in un modo o nell’altro le «cose» indicate da queste due parole, potrebbe essere utile pensare per un momento i sensi possibili della parola « essere». E proprio su questo tema che Heidegger ha scritto una delle sue pagine più belle — nel libro dedicato a Nietzsche.
Possiamo usarla come verbo, la parola «essere». Una parola del tutto comune. In effetti, la usiamo di continuo, tutti i giorni. Ognuno di noi la dice una infinità di volte, nel corso della sua vita. E relazione a ogni tipo di soggetto. «Oggi è giovedì», «E primavera», «Tu sei mia moglie», «Io sono in dubbio», «E uno sconosciuto», «Il pane è fresco», «Questo bambino è bello», « Siamo in anticipo», «Siamo uomini», «Sono stranieri», «Questa musica è dolce», «È terribile», «E’ presto», «Ci saremo», «È un mistero», «È un sogno», «È già qualcosa», «È niente »…
Questo «è» si dà sempre come ciò che unisce. Come ciò in cui soggetto e predicato si uniscono. Anche come ciò che conduce il predicato a far luce su un soggetto taciuto – magari anche soltanto a farcene sentire il valore di enigma.
(pag 11) Questo «è» colma la distanza tra il soggetto e il mondo. Decide il soggetto nel mondo. Lo affida al mondo. Lo accoglie nel mondo.
Forse si potrebbe dire che il verbo «essere», portando il soggetto al predicato, lo porta in qualche modo a «farsi storia» — ad accadere.
Forse si potrebbe dire che il verbo «essere» — giustamente pronunciato e giustamente ascoltato — lavora a togliere ogni cosa dalla solitudine.
(Potrebbe servire a qualcosa immaginare per un momento una solitudine grammaticale?)
Ma noi sappiamo che possiamo usarla, questa parola, anche come sostantivo: «l’Essere». E sentiamo che se ci soffermiamo per un momento a pensarla davvero, la parola «l’Essere» ci sembra una parola del tutto concreta ma nello stesso tempo molto difficile da definire.
Una parola non comune, certo, «l’Essere». Ma che, se ci pensiamo, ci accomuna. E accomuna noi al mondo.
La parola «l’Essere»… Ci sembra qualcosa di immenso. Ma come mai, nello stesso tempo, ci sembra non più grande di ognuno di noi – non più grande della nostra capacità di pensare, di nominare?
Anche in questo caso, comunque, sarà opportuno rimandare indefinitamente la risposta alla domanda: «Che cosa è l’Essere ?» Anche in questo caso — forse soprattutto in questo caso – bisognerà probabilmente che pensiamo soltanto se potremmo avere qualcosa da dire a proposito di questa parola. A proposito di tanta parola.
Una cosa è certa. A nessuno di noi passerebbe per la testa che una parola come «l’Essere» possa non avere alcun senso.
Se decidiamo di stare per un momento in ascolto — come si fa quando si vuole ascoltare un suono che sta venendo, o che sappiamo sta per venire, da molto lontano — forse qualcosa del suono vertiginosamente profondo che sembra uscire dalla parola «l’Essere» potremmo sentirla echeggiare proprio nell’uso comunissimo che nella vita di tutti i giorni noi si fa del verbo «essere».
Forse è soltanto con questa lingua bassa, comune, che il famoso Essere si manifesta. Con questa lingua bassa che colma la distanza fra il soggetto e il mondo – come si è cercato di dire.
Generato, lui, il famoso Essere, dalla nostra bocca. Parlando, lui, nella nostra bocca. Nominando senza enfasi e in tutta semplicità il partecipare di ogni cosa al vivere. Nominando la condizione stessa del vivere. Nominando ciò che in ogni condizione si dà come il vivere — comunque. Garantendo comunque per la vita di ogni cosa. Sostenendo ogni cosa in quella vita che assolutamente ed esclusivamente le appartiene – che, per un poco, le spetta. Secondo una «giustizia» che appare insieme misteriosa e inequivocabile.
Non è davvero come se si mostrasse, e agisse, qui, una specie di giustizia originaria, assoluta?
(pag13) Adesso proviamo a pensare insieme la parola “essere” e la parola “distanza”. E poi proviamo a pensare insieme la parola “l’Essere” e la parola “la Distanza”. In qualche modo dovrebbe funzionare. Speriamo, almeno.
(…) > CONTINUA >
Il saggio La distanza di Tadini è stato pubblicato nel 1998 per le edizioni Einaudi
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Francesco Tadini, insieme a Melina Scalise cura l’Archivio opere e testi di Emilio Tadini. Sede dell’Archivio è la Casa Museo Spazio Tadini in via Jommelli 24, Milano
Per informazioni: francescotadini61@gmail.com