Picasso: opere famose – analisi di Les Demoiselle d’Avignon, di Emilio Tadini

Picasso Les Demoiselles d'Avignon

Picasso Les Demoiselles d’Avignon – analisi dell’opera di Emilio Tadini da “L’occhio della pittura”

Pablo Picasso: opere famoseanalisi di Les Demoiselles d’Avignon di Emilio Tadini nel saggio su cinque capolavori dell’arte contemporaneaL’occhio della Pittura“. SECONDA PARTE ->Leggi qui la prima parte. È molto lungo il discorso critico a proposito dei precedenti, a proposito degli influssi che si sarebbero fatti sentire su Picasso al momento della esecuzione di Les Demoiselles d’Avignon. Elenchi interminabili, sono stati fatti. Sono stati tirati in ballo tutti i riferimenti iconografici possibili e immaginabili. Forse potremmo cercare di ridurlo, quel discorso, a quelli che sembrano i suoi elementi essenziali.
Prima di tutto Cézanne. Cézanne che lascia Parigi – i bei salotti e i giardini e i parchi e la Marna sontuosa e la campagna coltivata – e si ritira nella sua Provenza squadrata dal sole.
Cézanne, che i suoi primitivi – i suoi barbari – li cerca e li trova nel mondo della provincia, della campagna.
(Ma a Parigi, certo, tra le pareti di quelle stanze e di quelle sale, rimane per fortuna Degas il grande. Con i suoi disegni e i suoi monotipi su scene di bordello. Con le sue terribili bagnanti che escono dall’acqua di una tinozza…)
Dalla pittura del periodo rosa e del periodo blu, da quel decadentismo insidiato a volte dal patetico, Picasso esce proprio guardando la pittura di Cézanne. L’austerità di Cézanne, il suo senso del tragico addirittura solenne – il suo slancio vitale senza illusioni, alimentato momento per momento, frammento per frammento…
Nella pittura di Cézanne, Picasso ha visto e guardato a lungo i corpi delle Bagnanti. Quei rozzi monumenti sconquassati dal senso – da un sogno di grandezza faticosa. Quel colore che dà loro forma attraverso piani e spaccature, così come una pietra scappellata dà forma alla figura di una statua. Quelle deformazioni che sembrano a volte il prodotto di sproporzionate tensioni intime, a volte il sintomo di una devastazione imminente. Tutto un consistere tenuto insieme “ad ogni costo”, disperatamente – quasi in risposta a qualche potenza minacciosa…

È come se Picasso spingesse fino al punto di rottura, radicalmente, tutte le tensioni che nei dipinti di Cézanne strutturano e disarticolano spazio e figure. Lo spazio della natura-paesaggio. E le figure di quelle bagnanti, di quelle donne nude, di quelle impacciate semidee.
Poi, a proposito dei precedenti de Les Demoiselles d’Avignon – a proposito delle opere che in qualche modo devono avere influenzato Picasso – non si può non parlare delle sculture iberiche. Nel marzo del 1907 Picasso ha nel suo studio due teste iberiche che risalgono all’VIII-VII secolo avanti Cristo. Pura arte barbarica – così diversa dall’arte romana di quel tempo… Sintesi, sproporzioni…
Le due piccole sculture Picasso le ha comprate, pare senza conoscerne l’origine, da Géry Pieret, ex segretario di Apollinaireche le aveva rubate al Louvre. Picasso è appassionato di questa arte. La conosceva già dai tempi di Barcellona – e nell’inverno del 1906 aveva visitato al Louvre la mostra dedicata proprio all’arte iberica di Osuna. Osuna era una provincia interna dell’Iberia, fuori dal flusso della cultura imperiale. E lì si era prodotta una scultura barbarica, del tutto primitiva.
Infine, l’arte africana – le maschere africane.

Les Demoiselles d'Avignon - analisi dell'opera di Picasso

Les Demoiselles d’Avignon di Picasso: la parte sinistra dell’opera

Nell’estate del 1907, quando ha già dipinto la parte sinistra del quadro, Picasso fa una visita al Museo di Etnografia del Trocadéro. Matisse gli ha già mostrato una statuetta africana – e Picasso, come testimonia Max Jacob, ne ha fatto molti disegni del tutto nuovi. Ma la visita al museo del Trocadéro è, nella vita di Picasso, un evento.
Nel 1974 Picasso dice a Malraux (che riferisce di questo colloquio nel suo libro La Tete d’Obsidienne): “Quando sono andato al Trocadéro, era disgustoso. Il mercato delle Pulci. Un odore… Ero solo. Avevo voglia di andar via, ma restavo lì. Ho capito che era molto importante: mi stava capitando qualcosa – no? Continuavo a guardare i feticci. Ho capito: anch’io sono contro tutto. Non i particolari! Tutto! Le donne, i bambini, le bestie, il tabacco, il gioco… Proprio tutto!”

La prima cosa che Picasso indica come parte di quel “tutto” ostile e sconosciuto è la donna.
Sembra proprio che sia l’impressione suscitata nel pittore dalla rivelazione dell’arte africana a ispirare la parte destra del quadro Les Demoiselles d’Avignon. Lì si alzano quelle due figure con le teste che sembrano calate bruscamente sul corpo. Estranee, violente. Proprio come due maschere.
Prima di tutto, ogni maschera ci costringe a vedere la faccia come oggetto. Inchioda la faccia ad una oggettività. La conduce al senso con una violenza – quasi come si conduce una bestia al macello.
Nei colloqui con Malraux a proposito della sua visita al Museo del Trocadéro, Picasso dice di aver capito che quelle sculture africane “erano armi, contro la paura del mondo, del mondo ostile. Per aiutare gli uomini a non essere più soggetti agli spiriti, a diventare indipendenti. Gli spiriti, l’inconscio, l’emozione, sono la stessa cosa”.
Dice anche, Picasso: “Les Demoiselles d’Avignon sono state il mio primo dipinto di esorcismo“. “È allora che ho capito che quello era il senso stesso della pittura. Non si tratta di un processo estetico. È una forma di magia che si interpone fra l’universo ostile e noi, un modo di prendere il potere imponendo una forma ai nostri terrori come ai nostri desideri. Il giorno in cui l’ho capito, ho saputo che avevo trovato la mia strada”.
Vale la pena di rilevarla, questa congiunzione che nel racconto di Picasso si stabilisce fra la parola “terrore” e la parola “desiderio”. Vale la pena di rilevare la funzione capitale che egli assegna alla pittura “nell’imporre una forma ai nostri terrori come ai nostri desideri”. Come se il Terribile fosse l’Assoluto Informe – e ogni forma una specie di riparazione, una specie di difesa…

Les Demoiselles d'Avignon Pablo Picasso analisi dell'opera

Les Demoiselles d’Avignon Pablo Picasso – parte destra dell’opera

Imporre una forma vuole anche dire imporre un limite. Tanto è vero che dell’informe sembra addirittura impossibile parlare in termini di quantità.
Il desiderio – ogni desiderio – si fonda su qualcosa che non ha forma: sulla pura e semplice e indefinita energia del desiderare in se stesso, al di là di ogni oggettivazione, al di là di tutto quanto noi cerchiamo di definire con parole come “bene” o “male”, “positivo” e “negativo”. Ogni desiderio particolare ha in sé il senso di questa illimitatezza che la sua origine.
Che si possa pensare non una “volontà”, ma un “desiderio di potenza”?
Si potrebbe dire che ogni oggetto di desiderio non è altro che un oggetto occasionale. Una specie di figura provvisoria tirata su per dare al desiderio uno straccio di destino – e per consumarlo, per farlo fuori… Forse tutto questo potrebbe spiegare l’accostamento fatto da Picasso fra desiderio e terrore.
Picasso dice ancora a Malraux: per Braque era tutto diverso, a Braque quelle sculture piacevano soltanto “perché erano belle sculture”. Ma Braque, aggiunge Picasso, “non è superstizioso”.
Si contraddice, Picasso. Nel 1917, a Iacob Tughendhold, un critico russo che gli chiede se fosse il carattere mistico di quelle sculture a interessarlo, risponde: “Assolutamente no! Ciò che mi interessa è la loro semplicità geometrica”.
La verità è che probabilmente Picasso ha sentito, in quelle sculture, in quelle maschere africane, la presenza di una forma pura, elementare – trionfalmente primitiva – e, nello stesso tempo, la presenza di una funzione magica. Quale altra forma, del resto, avrebbe potuto disporsi ad una funzione così particolare? Non certo una forma vicina al realismo, al naturalismo più o meno accademici – che avrebbe parlato di cose come caratteri e sentimenti, più o meno stilizzati.
Ogni figura sintetica può essere riportata alla geometria. Ogni figura sintetica esclude l’espressione, caratterizzata, di sentimenti individuali.
È come se una deliberata riduzione di informazioni ci agevolasse l’approccio a qualche informazione essenziale. E, all’opposto, è come se una moltiplicazione di informazioni – non soltanto deliberata ma anche prodotta automaticamente da uno specifico sistema tecnico – ostacolasse il nostro approccio ad ogni informazione essenziale.
Per sua natura, ogni figura sintetica tende alla rappresentazione non di un individuo, ma di un mondo. Di un sistema simbolico – che vuol darsi come del tutto evidente. E, per sua natura, una figura sintetica tende ad una rappresentazione tale da poter essere compresa – sentita – da tutti i membri di una collettività nello stesso momento e “allo stesso modo”.
I disegni preparatori per Les Demoiselles d’Avignon ci mostrano scene molto più complesse. Un giovane – studente in medicina, lo ha definito Picasso – entrava da sinistra con in mano un libro, o un teschio, o l’uno e l’altro. Un marinaio stava seduto al centro, attorniato dalle donne.

I disegni preparatori sembrano preludere a un dipinto destinato a raccontare una storia. Scene di bordello. Allegorie. Con qualcosa di una “Vanitas”, addirittura: con riferimenti a quei dipinti del XVII secolo in cui il teschio – accostato a corpi di giovani donne, a oggetti, a nature morte lussureggianti – indicava la vanità, la provvisorietà del piacere, del mondo, della vita.
Il dipinto, così come Picasso ce lo ha lasciato, non racconta nessuna storia. Mostra sinteticamente, semplicemente, cinque corpi di donna. Il senso è contenuto tutto lì. In quel corpi. Nella pittura violenta che ne dispone davanti ai nostri occhi.


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Emilio Tadini

analisi di Les Demoiselles d’Avignon

di Picasso

 

L’occhio della pittura di Emilio Tadini è disponibile all’Assoziazione Culturale e Casa Museo Spazio Tadini in via Jommelli 24 a Milano. Per la direzione di Francesco Tadini e Melina Scalise – anche fondatori –  i due piani di sale sono sede – una ex tipografia – dell’Archivio Generale delle opere dell’artista, parte delle Case Museo di Milano Storie Milanesi e di Anime Nascoste, rete di spazi culturali milanesi.

Francesco Tadini

Francesco Tadini è fondatore e direttore artistico di Spazio Tadini in via Jommelli 24 a Milano. Casa Museo e archivio delle opere di Emilio Tadini, sede di mostre ed eventi. Location.

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