Scrittura creativa: corsi della Scuola Holden, le Holden Maps e lo scrittore Emilio Tadini

corsi scrittura creativa

scrittura creativa: la Scuola Holden ha pubblicato le Holden Maps con la BUR

Scrittura creativa: corsi della Scuola Holden, le Holden Maps e lo scrittore Emilio Tadini. Nel 2001, mentre ultimava il romanzo Eccetera – edito postumo da Einaudi – mio padre contribuiva con un saggio breve a una collana di pubblicazioni preziosa – viene da dire indispensabile – per chiunque voglia diventare narratore. Il testo di Tadini – si intitola “La voce, la scrittura” – è parte del volume “Punteggiatura” di Holden Maps – Scuola Holden, volume primo – AA.VV. “I segni” (BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2001).

Scuola HoldenLa Scuola Holden, fondata nel 1994 dallo scrittore Alessandro Baricco, Antonella Parigi, Marco San Pietro e Alberto Jona, è intitolata al protagonista del romanzo Il giovane Holden di J.D. Salinger: Holden Caulfield. E’, probabilmente, una delle scuole di narrazione – di scrittura creativa o Storytelling & Performing Arts, che dir si voglia – migliori al mondo. La Scuola Holden è a Torino – questo il LINK al sito web – e, come illustrato alla voce “Chi siamo” dello stesso sito “Dal 2013 la Holden è diventata molto più grande. Si è spostata in una vecchia e bellissima fabbrica di bombe che da anni giaceva abbandonata e che la Città di Torino ha dato in concessione in seguito a una gara. In meno di un anno si è trasformata in un posto in cui, invece che bombe, si costruiscono narratori.

Alessandro Baricco scrive, in presentazione al libro “Punteggiatura” delle Holden Maps: “Alla Scuola Holden insegniamo a narrare. Siamo convinti che un romanziere, uno sceneggiatore cinematografico, un giornalista o un inventore di videogiochi siano, prima di tutto, narratori. (…) Ogni tanto ci perdiamo, perché quella è una terra sterminata. Ci vorrebbe una cartina, dice qualcuno. Già. (…) Così sono nate le Holden Maps. Saggi, manuali, esperimenti. Sono strade per non perdersi, e paesi dove potersi fermare. Lettere spedite dalla terra della narrazione…

Emilio Tadini, La voce, la scrittura

1. È la nostra voce a costituire il corpo, materiale, della parola (della lingua).

Della parola (della lingua) la scrittura, in se stessa, costituisce la figura immateriale.

Si può obiettare che anche la scrittura è dotata di un corpo materiale. E che è proprio su questo che hanno lavorato e lavorano l’incisore di lapidi, l’amanuense, il tipografo, il grafico, l’autore di “graffiti”.

Forse si potrebbe dire che quello che si dà come il corpo della scrittura si sostenga fintanto che qualcuno scrive, e poi fintanto che il corpo della scrittura mostra se stesso sulla pagina o su qualsiasi altra superficie.

Scuola Holden

Scuola Holden, Holden Maps – in questo libro il saggio di Tadini “La voce, la scrittura”

Forse il corpo della scrittura si dà come sostanza nel momento in cui la scrittura giace sulla pagina – prima che la scrittura sia letta, prima che rispecchiandosi in uno sguardo, la scrittura per da se stessa, sacrificandosi al significare. Esalando, per così dire – in quel momento o in quel luogo – la propria anima. Come se nel processo della lettura ciò che resta della scrittura si facesse davvero figura fantasmatica.

(Una materialità paradossale – che abiterebbe soltanto nella dimensione del non visto…)

(Ma forse, divagando ma non troppo, forse si potrebbe addirittura arrivare all’assurdo di pensare l’inesprimibile come luogo e condizione di qualche “assoluto” della materialità. Pensando, per forza, la virtualità su cui si fonda ogni forma di espressione, di rappresentazione…)

(L’inesprimibile come ciò che per sua natura si sottrae, comunque, alla virtualità).

(Virtualità – ed espressione, rappresentazione…)

2. Non è forse come se noi, leggendo, si separasse con violenza, dal suo corpo, l’anima della scrittura?

E, allora, non è forse come se, procedendo in una lettura, noi ci si lasciasse dietro, sulla pagina, cataste sempre più alte di minuscoli cadaveri? O, ancora, non è come se noi, leggendo, si vampirizzasse la scrittura?

(A proposito di una materialità che si dà soltanto nella dimensione dell’inesprimibile: e se ciò che noi si chiama “la cultura” consistesse soltanto in un processo di vampirizzazione del mondo a opera dell’uomo? Come se per ottenere una goccia di senso si dovessero spremere – consumare – tonnellate di mondo. Una forma di spietato profitto simbolico che potrebbe darsi come origine e modello della spietatezza di ogni profitto materiale, economico: il danaro come virtualità – come rappresentazione… Brrr! Con qualche attualità, in ogni modo. No?)

3. Noi si è cercato in tutti i modi di salvare, di preservare il corpo della parola, evitando che morisse con il morire della scrittura sulla pagina letta – là dove passa l’occhio d’Attila del lettore. Si è cercato di farlo leggendo a voce alta, o magari muovendo soltanto le labbra. Come se la vitalità delle parole scritte si continuasse a garantirla – se non altro simbolicamente – per mezzo del nostro corpo, della nostra voce.

Perché, appunto: è la nostra voce che sostituisce, nel discorso, il corpo materiale della parola. Ma probabilmente si potrebbe anche dire così: è la nostra voce – il nostro corpo – che produce la sola memoria che sia in grado di darsi come incorrotta e incorruttibile. (Platone… La sua intuizione del precipitare, nella scrittura, di una virtualità allo stato puro…)

4. La nostra voce, quando noi si parla, è lavorata, profondamente, dai sensi – e dal senso (come “senso delle cose”).

Il senso (delle cose) e gli affetti. Il senso (delle cose) e il desiderio.

Proviamo a dire: “è di senso che noi si vorrebbe colmare ogni parola, attraverso la nostra voce”. E poi: “è di affetti, e di desiderio, che noi si vorrebbe colmare ogni parola attraverso la nostra voce”. Non sembra forse che le due proposizioni parlino proprio della stessa cosa?

(Evitiamo di tirare in ballo, qui, le espressioni, i gesti – quando insomma a parlare ci si mettono anche i muscoli e i nervi… Che è tutto un altro capitolo, e senza dubbio importantissimo. Ma che, forse – troppa materia nel regno dello Spirito! – è tenuto, significativamente, ai margini).

5. Gli accenti, i toni, di ritmi… Un altro vocabolario, un’altra grammatica, un’altra sintassi. E quasi sempre decisivi. Perché è lì che agiscono più sottilmente e profondamente, nella parola – nella lingua – gli affetti, il desiderio. È lì che si produce il senso.

Forse è addirittura lì, nella sistema degli accenti, dei toni, dei ritmi, che si fa sentire ciò che noi chiamiamo “l’indicibile”.

“L’indicibile” e gli affetti, il desiderio…

“L’indicibile” è il senso (delle cose). I nostri sensi e il senso delle cose.

Che si faccia intravedere, qui, nella lingua degli accenti, dei toni, dei ritmi – in questa musica – qualche virtù propriamente angelica della parola parlata, di ogni parola parlata?

(Se gli angeli, interpretando per gli uomini la lingua di Dio interpretavano la lingua irraggiungibile che, sola, era in grado di nominare il senso del mondo, allora – chissà se è giusto, questo “allora” – allora qualcosa che ha dell’angelico dovrebbe porsi, adesso come sempre, nella nostra voce. In quella voce che si dà, comunque – in se stessa – come interprete dell’indicibile).

(Che ne sia illustrata la famosa parentela fra Dio e l’impensabile, l’indicibile, l’inesprimibile? “Qualcosa” che nessuna scrittura, in realtà, può dire – per sacra che sia? “Qualcosa” cui soltanto la voce in se stessa, con la sua brava musichetta più o meno ansiosa, potrebbe semmai avere in sorte di alludere? Lasciandosi dietro, nella scrittura, qualche rovina in forma di punteggiatura…)

6. Dove vanno a finire, nella scrittura, gli accenti, i toni, i ritmi?

Nella scrittura teatrale sono comparse a un certo punto le didascalie. Le didascalie sono destinate a reinserire nella parola detta dagli attori la funzione degli accenti, dei toni, dei ritmi. (Una funzione la cui importanza nessuno si sognerebbe di mettere in dubbio.)

Il regista, a teatro e al cinema, si sforza di riportare al corpo l’anima della parola. Lavorando appunto sugli accenti sui toni, sui ritmi. (E naturalmente sui gesti e sulle espressioni.) La stessa cosa, è ovvio, facevano le fanno, a modo loro, gli attori.

E nella scrittura non teatrale? Dove vanno a finire, gli accenti, i toni, i ritmi, nella scrittura poetica, nella scrittura narrativa, saggistica, cronachistica?

7. Quanto detto fino ad ora si basa su una premessa – che è ora di dichiarare. La premessa è questa: ogni testo scritto presuppone, comunque, un testo parlato. O, più semplicemente, presuppone “il” parlato. Anzi: il parlare.

Ma si potrebbe anche dire così: ogni parola, e ogni serie di parole scritte, si pongono in qualche relazione con la voce. Con la voce che risuona. Con la voce che ha risuonato. Con la voce che si dà, comunque, come sostanziale presidio del senso (delle cose).

Si potrebbe negarlo. Si potrebbe dire che la scrittura è governata da uno statuto specificamente suo, da uno statuto che non ha niente a che fare con lo statuto della parola detta. Si potrebbe dire che la scrittura la si pensa e la si produce proprio in quanto scrittura – in una dimensione dove la voce non può risuonare o addirittura non ha il diritto di risuonare.

Ma a questa obiezione si potrebbe rispondere: questa idea, questa concezione della scrittura – questo statuto della scrittura – occultano, significativamente, un profondo dove abita quella che è proprio la verità più drammatica, e più vitale, della scrittura.

Questa verità drammatica e vitale della scrittura potrebbe consistere sostanzialmente nel ricordo, forse soffocato ma certo incancellabile, di un evento in qualche modo originario. L’evento che si è dato quando, mediante la scrittura e nella scrittura, ci si è trovati a separare con violenza il pensare e il sentire dal corpo. Da tutto il corpo. Non soltanto dalle labbra, voglio dire, non soltanto dai denti, dal palato, dalla gola.

Se nel profondo di qualsiasi scrittura – non solo della scrittura più lirica ma anche di quella più concettosa – non si sente echeggiare, magari anche soltanto da molto lontano, qualcosa che potremmo chiamare “il lamento per il corpo perduto”, o anche “l’invocazione del corpo perduto”, vuol dire che quella scrittura è morta. E micidiale.

Forse questo vuol dire soltanto che ogni vera scrittura si fonda su qualche nostalgia della voce.

Emilio Tadini

> CONTINUA > pubblicheremo a breve la seconda parte del saggio

Il libro di Holden Maps – Scuola Holden “Punteggiatura” (AA.VV. – BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2001) che racchiude il saggio di Emilio Tadini – oltre a quelli di Alessandro Baricco, Luca Doninelli, Marosia Castaldi, Antonio Franchini, Michele Mari, Dario Voltolini, Ernesto Franco, Enzo Fileno Carabba, Giulio Mozzi, Sandro Veronesi – è a vostra disposizione per consultazione in via Jommelli 24 a Milano presso Spazio Tadini: la Casa Museo e Associazione Culturale fondata da Melina Scalise e Francesco Tadini.

Francesco Tadini

Francesco Tadini è fondatore e direttore artistico di Spazio Tadini in via Jommelli 24 a Milano. Casa Museo e archivio delle opere di Emilio Tadini, sede di mostre ed eventi. Location.

Potrebbero interessarti anche...