Tadini: mostra a Palazzo Ducale di Urbino a cura di Flaminio Gualdoni e Bruno Ceci – archivio Spazio Tadini

mostra a Palazzo Ducale Urbino di Emilio Tadini del 1999: “I Trittici”
Emilio Tadini in mostra a Palazzo Ducale di Urbino (1999) a cura di Flaminio Gualdoni e Bruno Ceci – testo di Ingo Bartsch. Presso Spazio Tadini in via Jommelli 24 a Milano, Casa Museo fondata da Melina Scalise e Francesco Tadini e Archivio delle opere di Emilio Tadini sono a disposizione – nella corposa biblioteca d’arte aperta ai soci – per la consultazione, tutti i cataloghi delle mostre del pittore milanese scomparso nel 2002. Il testo di Ingo Bartsch è parte del volume edito dal Comune di Urbino / Assessorato al Turismo in occasione della mostra a Palazzo Ducale “I trittici 1989/1990” curata da Bruno Ceci e Flaminio Gualdoni del 1999. Organizzazione e coordinamento dell’esposizione: Roberto Matassoni, Katia Petrolati, Carla De Angelis.
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Tadini: mostra Palazzo Ducale, catalogo dell’esposizione
Alla fine degli anni ottanta Emilio Tadini comincia a dipingere quadri di grande formato suddivisi in tre parti: non si tratta di serie vere e proprie, ma nel corso degli anni si assiste comunque ad un continuo confronto con questa forma pittorica carica di precedenti storici, confronto che dura fino a tutt’oggi. Se si ha la possibilità di vederne addirittura una dozzina uno dopo l’altro in successione cronologica (anche se solo di riproduzione), come avviene grazie al ricco volume di Quintavalle (pubblicato per Fabbri Editore nel 1994), allora questo modo di discostarsi da un sistema basato sul singolo quadro, ha quasi l’aspetto di un risultato logico. Per vari motivi, il mondo di Tadini è pieno, anzi gremito di figure di esseri umani e di animali come pure di figure ibride, di cose e di oggetti, di architetture e di mobili, di apparecchi tecnici e di relitti di immagini naturali per lo più frammentarie.
È chiaro che questa sovrabbondanza e concentrazione di oggetti reali può essere portata all’eccesso qualora la superficie del dipinto venga triplicata. Vi si aggiunga lo sterminato universo letterario di Tadini scrittore, la cui sconfinata curiosità per la struttura del mondo si rispecchia nella sua opera di pittore. Una terza componente la si potrebbe ritrovare infine nella grande affinità che questo artista dimostra di avere con analoghi modelli rintracciabili nella storia dell’arte, cominciando dagli altari gotici, passando per i grandi cicli di Max Beckmann, fino ad arrivare alle più svariate illustrazioni dei fumetti.
Il lessico iconografico altamente differenziato usato per i comics lo si ritrova nei trittici di Tadini come un caos barocco di eventi trasportato nel mondo di oggi grazie ad un libero gioco fantastico. Sulle grandi superfici di questi dipinti si accumulano scenari realistici, bizzarri, grotteschi, misteriosi e identificabili della nostra civiltà occidentale-americanizzata, scenari pieni di simbolismi che si rispecchiano in modo altrettanto cifrato sul piano stilistico pittorico. A differenza di Max Beckmann, qui il volto non viene più individualizzato in forma di ritratto, ma viene trasformato in maschera, truccato in maniera clownesca, diventa una parte della massa uniforme. Pur tuttavia entro la struttura relazionale delle persone coinvolte nell’evento si trasmettono delle emozioni, come si deduce chiaramente da gesti e atteggiamenti.
Manifestazione di potere, situazioni di sottomissione, di aggressività, di rassegnazione, di angoscia e di disorientamento indicano i comportamenti fondamentali che determinano un’azione che lo sguardo non riesce immediatamente a dominare: è il grande theatrum mundi che ha affascinato tanti artisti del XX secolo stimolandoli a produrre rappresentazioni di analoga complessità e concentrazione.
In Dix e Grosz ad esempio la deformazione caricaturale dei “tipi” era un attacco diretto e sarcasticamente mordace contro i rapporti di classe allora esistenti.
Le sofferenze di quella situazione e l’ottusità dei ceti al potere venivano “gettate in faccia” ai borghesi in trasposizioni figurative geniali e sfrontate: la situazione storica costrinse lo stesso dadaismo all’impegno politico. Tutto il materiale per la sua lotta John Heartfield (anglicizzazione di Helmut Herzfeld, Berlino 1891 – 1968 – n.d.r.) lo ricavò dei media del tempo e lo utilizzò in una radicale azione politica, per cui i suoi montaggi divennero un feroce modo di smascherare gli slogan politici dell’epoca.
Di fronte all’evolversi della situazione e nell’impossibilità di arrivare ad una visione perspicua del mondo odierno (nonostante la sua universale connessione dovuta all’uso delle tecniche di elaborazione elettronica) oggi è ben più difficile formulare delle provocazioni capaci di colpire l’obiettivo. Nel quadro la continuità di spazio tempo si è disgregata, la legge di gravità sembra sospesa. Le figure fluttuano nell’aria, si ingrandiscono o rimpiccioliscono in un modo che va molto al di là del nostro ordine visivo abituati alle leggi della prospettiva. Emilio Tadini crea un panopticum moderno, di assoluta attualità, popolato all’eccesso di figure travestite, mascherate, uniformate che agiscono meccanicamente entro un nowhereland: un insieme di personaggi pittorici i cui reciproci rapporti sono determinati da atti non immediatamente identificabili e in parte esaltati.

Tadini, Il ballo dei filosofi, 1995 – opera conservata nell’Archivio e Casa Museo di Milano Spazio Tadini in via Jommelli 24
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Vagabondando qua e là anche qui, come in Beckmann, l’occhio scopre una quantità di oggetti simbolici, il cui significato rimane parimenti incerto. Comunque, quello che è importante, come dichiara Max Beckmann in una conferenza tenuta a Londra nel 1938, è “l’immaginazione, forse la più divina delle qualità umane. Proprio l’immaginazione dello spazio è quello che io sogno. Modificare l’impressione ottica del mondo degli oggetti per mezzo di una trascendente matematica dell’anima… In linea di principio, a uno è permesso trasformare un oggetto in qualsiasi modo, purché egli sia legittimato da una sufficiente forma creativa…”
Sulla base di una legittimazione decretata in questi termini, nei suoi ultimi trittici Emilio Tadini costruisce un ritaglio di mondo molto più ermetico e non più dominato dallo stridore del caos: non sono più le situazioni storiche ad essere messe in ballo, ma chi le ha inventate, i filosofi stessi… Nella loro tragedia si avverte il tormento esistenziale di un Francis Bacon, mitigato dalla cultura pop di Richard Linder. Queste sono comunque associazioni molto vaghe che dicono ancora poco sul contenuto enigmatico di questi dipinti improntati al grottesco. Sono trittici da intendere anche come “formulazioni di pathos”. Emilio Tadini si riallaccia direttamente e senza alcun sforzo a quell’energia travolgente che un tempo avevano le raffigurazioni religiose dei polittici con ante richiudibili. Nello stesso tempo ci troviamo di fronte ad un modo aggiornato e evoluto di dipingere una metafisica tutta da riscoprire, nutrita dalla consueta vivacità intellettuale di Tadini.
Ingo Bartsch
sui trittici di Emilio Tadini
per il catalogo della mostra a Palazzo Ducale di Urbino
I trittici 1989/1990
L’esposizione si è svolta nel 1999.
Traduzione dal tedesco di Eugenio Bernardi.